DA DONATO DE’BARDI A BERGOGNONE, FINO ALLE MINIATURE DEL MAESTRO DEL SALOMONE WILDENSTEIN
Dal 27 novembre 2024 al 31 gennaio 2025
Galleria Carlo Orsi (Via Bagutta, 14 - Milano)
“Solo una questione di luce. L'Italia e il fascino delle Fiandre tra Quattro e Cinquecento” è il titolo della mostra che la Galleria Carlo Orsi ospiterà dal 27 novembre al prossimo 31 gennaio nei suoi spazi milanesi di Via Bagutta, 14. La mostra rappresenta l’ideale proseguimento dell’esposizione “A Caccia di Farfalle. Lo spirito del collezionista” organizzata da Galleria Orsi per riflettere su quali ragioni spingono il collezionista a raccogliere opere d’arte.
La mostra presentauna raffinata selezione di tavole di un gruppo di artisti, legati tra di loro da una particolare attenzione all’arte fiamminga: Donato de’ Bardi con laPresentazione di Gesù al Tempio, opera cardine della pittura italiana della prima metà del Quattrocento; la maestosa tavola del Bergognone, “Resurrezione di Cristo” che è stata esposta al pubblico l’ultima volta nel 1998; due tavole recentemente scoperte del pittore lombardo Zanetto Bugatto raffiguranti i Santi Pietro e Paolo e, infine, “I quattro dottori della Chiesa” in una tavola di Antonio da Viterboappartenuta ai principi del Drago a Roma.A completamento del percorso espositivo si aggiungono tre miniature in tempera e oro su pergamena attribuite al Maestro del Salomone Wildenstein.
Lamostra rappresenta anche il viaggio necessario per trovare la strada dell’arte e della bellezza. “Cosa non si fa per l’arte! Ma finirà mai questa ossessione di contemplare sempre nuove opere man mano che sono scoperte per capirne i segreti” – si chiede Gian Enzo Sperone nella sua introduzione al catalogo dell’esposizione. La mostra, curata da Mauro Natale, presenterà un’accurata selezione di opere di artisti italiani ispirati dalla pittura fiamminga nel periodo di passaggio dal XV al XVI secolo. Opere – precisa Sperone - “studiate dallemigliori menti dell’altro secolo”: da Giovanni Morelli, Roberto Longhi,CarloVolpe, Federico Zeri solo per citarne alcuni.
Le opere in mostra
Donato de’ Bardi
(documentato a Pavia, Genova e Savona dal 1402 al 1450/1451)
Presentazione di Gesù al Tempio
Tavola, 87,1 x 70 cm
Questa Presentazione di Gesù al Tempio è un’opera cardine della pittura italiana della prima metà del Quattrocento ed è l’elemento centrale della magistrale restituzione della personalità artistica di Donato de’ Bardi compiuta da Federico Zeri nel 1973 e nel 1976.
La contaminazione dell’artista con la pittura del nord Europa, conosciuta tramite gli eletti esemplari presenti a Genova nella prima metà del secolo, rappresenta il contesto nel quale Donato de’ Bardi, accostatosi con maggiore partecipazione ai grandi modelli del Nord, da Jan van Eyck a Petrus Christus, porta alla luce la “Presentazione di Gesù al Tempio”.La pulitura, eseguita da Barbara Ferriani nel 2007, ha restituito alla superficie pittorica la sua originaria trasparenza luminosa, consentendo di cogliere pienamente le raffinatezze tecniche dell’esecuzione, la preziosa finitezza delle rifiniture in oro dei bordi delle vesti e delle aureole e la definizione minuta dei tratti dei volti e delle pieghe dei tessuti. Nonostante la convergenza verso un unico punto focale dei vari elementi dell’architettura, dai capitelli alle spranghe di ferro che legano gli archi, al progressivo decrescere di questi ultimi verso lo spazio absidale, il dipinto è costruito secondo una concezione empirica della prospettiva, corretta dal variare dell’intensità della luce che consente di percepire «le rispettive distanze tra figura e figura, tra persone e ambiente» secondo la già citata interpretazione di Federico Zeri.
Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone
(1453 circa – 1523)
Resurrezione di Cristo
Scomparto di polittico, tavola, 173 x 68,5 cm
L’opera, in perfetto stato di conservazione ed esposta al pubblico per l’ultima volta nel 1998, è centrale nella ricostruzione della fase tarda della carriera del Bergognone.
Il dipinto è noto agli studi fin dalla fine dell’Ottocento ma solo gli studi più recenti sono stati in grado di identificare la tavola come l’elemento centrale dell’ordine superiore di un grande polittico su due registri eseguito da Bergognone per la chiesa dei Santi Stefano e Domenico a Bergamo nel secondo decennio del Cinquecento, in quella che fu probabilmente una delle ultime grandi commissioni pubbliche dell’artista.
L’opera raffigura Cristo avvolto in un panneggio dai bagliori lunari tanto sereno in volto da non presentare tracciadei segni della Passione, con tre soldati armati colti di sorpresa ai suoi piedi. Tutta la raffigurazione è contraddistinta da un’impostazione verticale esaltata dal moto ascensionale del Cristo e la cui iconografia è da ricondurre al prototipo, diffuso nell’Italia settentrionale, della Resurrectionascentionelle, che coniuga nella stessa raffigurazione motivi tipici della Resurrezione e dell’Ascensione.
Zanetto Bugatto
(documentato dal 1457 – 1476)
Pittore lombardo
San Paolo
San Pietro
Scomparti di polittico, tavola
rispettivamente 56 x 31 e 56,5 x 31 cm
Scoperte in anni recentissimi, le due tavole, evidentemente provenienti dallo stesso polittico, costituiscono uno dei più eccitanti ritrovamenti per la conoscenza della pittura lombarda del Quattrocento. I due dipinti hanno già acceso un vivace dibattito tra gli storici dell’arte: per il San Pietro sono stati avanzati i nomi di Bonifacio Bembo e di Stefano de’ Fedeli, mentre sul San Paolo c’è una concordia sul nome di Zanetto Bugatto. Pittore di corte degli Sforza per una ventina d’anni, Zanetto Bugatto è stato a lungo una figura sfuggente e misteriosa, oggi gli studiosi sono propensi a identificarlo con il Maestro della Madonna Cagnola. La sua pittura risente, come quella di Donato de’Bardi, degli esempi della pittura fiamminga che conobbe durante un periodo di studio nella bottega di Rogier Van.Ricostruendo la figura di Zanetto Bugatto, nominato per la prima volta come «magister» a Milano il 5 ottobre 1457, questi deve essersi formato a Genova nei primi anni ’50 e il suo stile appareinfluenzato dalla ultima attività di Donato de’ Bardi tanto da essere plausibile la formazione alla sua bottega. Il giovane pittore avrebbe potuto, nella Genova dei primi anni Cinquanta, approfondire la sua formazione esaminando da vicino l'opera di Jan van Eyck e confrontandosi con i pittori stranieri che avevano portato in città i suoi insegnamenti, come Justus von Ravensburg, ma attraverso lo stile mediato dallo stesso Donato. Inoltre, non mancavano nell’aria mediterranea negli anni Cinquanta del Quattrocento altri artisti nordeuropei, in particolare EnguerrandQuarton, che hanno influenzato la sensibilità e lo stile di Zanetto Bugatto, il cui substrato era stato forgiato a Genova, già prima del suo soggiorno a Bruxelles.
Le tavole costituiscono due scomparti di polittico: il primo raffigura San Paolo a mezza figura di tre quarti, su fondo oro punzonato, che tiene la spada con la mano destra e un libro con la sinistra; il secondo raffigura San Pietro su fondo oro punzonato con aureola resa in modo prospettico, rappresentato con il tradizionale attributo delle chiavi e un libro retto con entrambi le mani.
Antonio da Viterbo
(operoso nel Lazio nel terzo quarto del XV sec.)
I quattro dottori della Chiesa
Scomparto di polittico, tavola, 147 x 64,4/65 cm
“Oggi i dottori non sono rari, ma loro erano dottori della scienza di Dio, scusate se è poco”, commenta Gian Enzo Sperone in merito alla tavola raffigurante i quattro dottori della Chiesa di Antonio da Viterbo.Un tempo posta alla destra di un complesso al quale non è possibile al momento aggregare altri elementi, la sua cronologia, posta da Volpe intorno al 1460 e da Zeri nel lustro successivo, viene fatta arretrare al precedente decennio da Stefano Petrocchi.
Un trittico nel cui ordine maggiore compaiono i quattro dottori della Chiesa a piena figura è cosa piuttosto insolita: Gregorio Magno inaugura la sfilata dei santi ed è quindi posto immediatamente a fianco della tavola centrale, sbarbato con un piviale di colore rosso-violaceo e il triregno sul capo. Alla sua sinistra vi sono i due vescovi Agostino e Ambrogio, legati dal rapporto maestro-discepolo e di cui il primo è riconoscibile grazie alla cappa scura del suo ordine. A chiudere il consesso, un assorto San Girolamo, ammantato in vesti cardinalizie. Ispiratori della missione storica della Chiesa, i quattro dottori simulano qui un movimento quasi ritmato con il gioco delle mani inguantate e ingioiellate, che porta l’occhio dello spettatore sui libri su cui si fonda la loro dottrina.
Maestro del Salomone Wildenstein (probabile Protasio Crivelli)
(attivo in Lombardia, tardo XV – inizi XVI secolo)
Adorazione dei Magi
Sant’Orsola e le Vergini compagne
Cristo giudice
Tre iniziali ritagliate, tempera e oro su pergamena
rispettivamente 149 x 153 mm, 150 x 158 mm, e 144 x 141 mm
In occasione dell’esposizione “Solo una questione di luce”, infine, sarà anche possibile ammirare tre “Iniziali” del Maestro del Salomone Wildenstein, identificato con non poche perplessità con la figura di Protasio Crivelli, apprendista miniatore presso il milanese Marco d’Oggiono secondo un’ipotesi trasmessa di Teresa D’Urso, che notava una forte parentela stilistica tra queste miniature e la pala del Museo di Capodimonte a Napoli firmata nel 1498 da Crivelli.
L’iniziale che incornicia l’Adorazione dei Magi è la E di «Ecce advenit dominator dominus», introito della Messa per l’Epifania, 6 febbraio.
La seconda iniziale, raffigurante Sant’Orsola e le Vergini compagne, è di identificazione meno sicura. Potrebbe trattarsi della G di Gaudeamus omnes del responsorio per la festa delle undicimila Vergini compagne di Orsola, celebrata il 21 ottobre.
La terza iniziale, inedita, di dimensioni appena inferiori, raffigura Cristo giudice entro una mandorla incorniciata da cherubini e serafini, tra Maria, il Battista e un coro di angeli salmodianti con cartigli su cui si legge «ECCE XPS» e «GAUDEA(MUS)». Gli attributi permettono di riconoscere dall’alto in basso i santi Andrea, Pietro e Paolo, Antonio abate, Francesco, Adamo, Davide, Stefano, Maddalena, Agnese, Caterina e Pietro martire. Sul lato sinistro, sono raffigurati due animali tipici dell’iconografia cristiana. In alto è un pavone, mutilo, simbolo di resurrezione già nell’arte paleocristiana per l’antica credenza che rinnovasse il piumaggio della coda in primavera e avesse carne incorruttibile.
La Galleria Carlo Orsi è specializzata in dipinti antichi, soprattutto italiani, in sculture e oggetti d’arte dal Trecento al Settecento ed è diventata un punto di riferimento per collezionisti privati, mercanti d'arte, curatori, esperti di case d'aste e amanti dell'arte da ogni parte del mondo. Partecipa alle più prestigiose esposizioni e fiere d'arte in Europa e oltreoceano quali TEFAF Maastricht, la Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, Arte e Collezionismo a Roma, Modena antiquaria e Flashback a Torino. La Galleria Orsi sostiene inoltre numerose istituzioni museali, concede in prestito opere e finanzia pubblicazioni di volumi, oltre a redigere propri cataloghi relativi a studi effettuati su specifiche opere ed artisti.