MOSTRA: QUANDO GIGLI, LA CALLAS E PAVAROTTI….

La passione per l’opera, il teatro, la musica, il balletto erano (sono) di casa nel Polesine. Non solo nella città capoluogo, Rovigo, ma in tutto il territorio. Basti pensare che c’è traccia documentata di almeno una cinquantina di teatri, attivi anche in paesini di poche anime, persi nel Delta del Po. Un fenomeno che per capillarità di presenze, in un territorio marginale e complesso com’era quello del Polesine, è davvero unico.
Teatri nati, quasi tutti, dalla volontà di gruppi di privati che si sono tassati per costruirli e poi per sostenerne l’attività. Soprattutto musicale, quasi gareggiando l’un l’altro per poter ingaggiare le migliori compagnie o per mettere in scena proprie “produzioni”, come si direbbe oggi. Proprio perché derivano di una “società” di persone, presero il nome di Teatri Sociali.
Della stragrande maggioranza di questi teatri non resta che la memoria negli archivi. La grande crisi, che già aveva cominciato a mordere da tempo, si fece drammatica nel Novecento, quando il Polesine visse una delle sue epoche più difficili. Il substrato sociale che aveva voluto e sostenuto questi teatri si era via via indebolito e sfaldato. Molti di esse vennero abbandonati o abbattuti, altri trovarono una sopravvivenza, anch’essa effimera, come cinema. Poi il buio.
Oggi, di questo straordinario patrimonio, sopravvivono 7 teatri storici. Sei di essi sono attivi: il Sociale di Rovigo, innanzitutto, il Comunale ed il Ferrini ad Adria, e quelli di Badia Polesine, Castelmassa e Lendinara. Tutti restaurati anche grazie al contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che promuove per la primavera prossima la mostra a Palazzo Roncale a Rovigo. Per il settimo teatro, quello liberty di Loreo, è in corso il restauro.
La loro è una storia costellata di grandi debutti, di prime di opere poi diventate celebri, di piccole grandi vicende che sono parte della storia italiana della musica e del costume.




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