La storia di una donna divisa tra gli anni della lotta armata e l’espiazione degli errori, tra un presente vuoto e nudo in cui irrompe una famiglia altrui, invasione e gioia, e la memoria che si impone nonostante. Il racconto teso e doloroso di un passato che si rifiuta di farsi dimenticare.
Mi scoprii a parlare senza sosta, senza pensare. Un flusso che pareva inarrestabile come l’acqua che scivola a valle da una frattura del ghiaccio. Quando arrivammo in camera da letto, mi chiese se poteva saltare. Certo che sì, dissi. Mi tolsi le scarpe, anche lei scese dagli zoccoli di sua madre, sedetti come uno yogi sulla coperta. La guardai, le tesi le mani. Lei le afferrò e prese a saltare in piedi, rimbalzando sul materasso in piena euforia. La tenevo, per guidare quella sarabanda e intatto canterellavo “Salta salta picchiatello/salta in cielo senza ombrello...”. Michele ci trovò così, entrando in casa con una timidezza recitata.
Giovanna ha i capelli bianchi, però lunghissimi e folti. Vive in un bell’appartamento che guarda il fiume, nel centro di Roma, ma è un’operaia in pensione. In un tempo in cui tutti inseguono il successo, la popolarità, lo svago lei vive sola, non parla con nessuno, non va mai in vacanza. Le sue giornate si susseguono uguali e attente fra la musica che ascolta per dimenticarsi di se stessa e i romanzi che legge per rispecchiarsi nelle vite degli altri. Non è felice né infelice, è come se vivesse uno sconfinato tempo supplementare dopo una partita che per lei si è chiusa presto, quasi quarant’anni fa, nel secolo scorso, quando per la smania di cambiare il mondo potevi commettere sbagli così gravi da pesare sulla tua coscienza per sempre. Ha pagato il suo debito con la giustizia, Giovanna, ma se hai un’anima come la sua la punizione non basta mai. Un silenzio da penitente, dunque, quello che ha scelto, un silenzio che va in mille pezzi quando nell’appartamento accanto al suo arriva, anzi, irrompe una famiglia di beniamini degli dei: Michele, musicista svagato, Maria, bellissima e sempre un po’ spogliata, Malcolm, tredicenne impegnato a salvare il pianeta, e Malvina, tre anni di pura gioia. Giovanna prima li guarda e li ammira, poi si lascia coinvolgere nella loro vita: bambinaia volontaria, amica grande, presenza silenziosa e generosa. E infine dalla loro vita viene travolta, come succede quando l’amore apre una breccia nelle tue difese e ti ritrovi vulnerabile, nuda. Ma di nuovo viva. Una prima persona asciutta e nervosa, un memoriale che al lettore rivela, pochi indizi alla volta, un quadro finale di sconcertante, dolorosa dolcezza. Lidia Ravera illumina ancora una volta un ritratto di donna alle prese con il tormento della maturità, quando tutto è finalmente chiaro e la resa dei conti, se hai abbastanza coraggio, può trasformarsi in un nuovo, tardivo inizio.
LIDIA RAVERA
Nata a Torino, Giornalista e scrittrice, ha raggiunto la notorietà nel 1976 con il suo romanzo d’esordio Porci con le ali, manifesto di una generazione e longseller con tre milioni di copie vendute in quarant’anni (oggi nei Tascabili Bompiani). Ha scritto trenta opere di narrativa (gli ultimi quattro romanzi, Piangi pure, Gli scaduti, Il terzo tempo, L’amore che dura sono nel catalogo Bompiani, come il saggio narrativo Tempo con Bambina e il racconto La somma di due da cui è tratto l’omonimo spettacolo di e con Marina Massironi e Nicoletta Fabbri, diretto da Elisabetta Ratti). Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.