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Ad accompagnare il percorso espositivo curato da due dei massimi esperti in materia, Fernando Mazzocca ed Elena Catra, e sviluppato cronologicamente e per temi nelle due sedi espositive del Museo Casa Giorgione a Castelfranco Veneto e di Villa Marini Rubelli a San Zenone - con oltre 60 tele dell’artista e alcuni puntuali confronti con i contemporanei Ciardi, Zandomeneghi, Milesi ecc. - ci saranno dunque un importante catalogo-studio, che prevede anche il regesto completo dell’opera pittorica e ad affresco di Bordignon e gli itinerari sul territorio pedemontano e veneto – 11 comuni coinvolti con 21 siti e altri 9 comuni segnalati - vera occasione di scoperta e conoscenza del suo eccellente pennello come frescante e di autentici capolavori diffusi.
Perché l’unicità di Bordignon nel contesto dell’epoca e in un mondo che si andava rapidamente laicizzando, ciò che probabilmente determinò un disinteresse postumo per la sua figura e la mancata valorizzazione in seno alla Biennale di Venezia, che ripetutamente rifiutò sue opere poi premiate in importanti esposizioni in Italia o all’estero, fu proprio il perseguire, accanto a una pittura di genere sensibile alle sperimentazioni più attuali, anche una intensa produzione ad affresco che rivelava il suo profondo radicamento al territorio e alla tradizione “senza tempo” dell’arte sacra.
Il legame con le sue origini - lui figlio di un sarto di campagna che poté studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia solo grazie al sostegno del Comune di Castelfranco e di alcuni privati concittadini – ma anche l’influenza dei suoi principali maestri, Michelangelo Grigoletti e Carl Blaas, e un profondo sentimento cristiano spinsero Bordignon a perpetuare lungo tutta la sua vita e ai massimi livelli la tradizione iconografica del racconto evangelico, realizzando i tanti cicli di affreschi che si conservano nelle chiese del territorio: composizioni di ampio respiro, ricche di figure e di movimento.
Un percorso che poteva sembrare parallelo e distante ma che in realtà era del tutto affine a quello del Bordignon “pittore di scene di vita contemporanea” capace di conciliare l’innovazione formale e il confronto con la “macchia“ toscana e la rivoluzione naturalistica degli anni sessanta e settanta – cruciale la mostra a Venezia della Società Promotrice del 1865 - con l’impegno civile e i valori di solidarietà cristiana.
I suggestivi interni delle chiese, le commoventi scene di vita rurale volte al riscatto degli umili e degli “ultimi” sono un riflesso della stessa, profonda religiosità dimostrata come pittore sacro, in perfetta sintonia con la dottrina sociale della Chiesa avviata in quei decenni e ufficializzata nella famosa enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, nel 1891.
“Il Bordignon che catechizza i contadini veneti, celebrando i fasti della Cristianità nelle volte delle chiese di campagna e il Bordignon che è partecipe dei loro drammi familiari, che sta al fianco di quelli che emigrano, come nel commovente Per l’America del 1887, – scrive Fernando Mazzocca nel catalogo della mostra – sono la stessa persona”.
Agli affreschi realizzati nella Chiesa parrocchiale di San Zenone degli Ezzelini con il monumentale Giudizio Universale del 1879, si affiancano dunque capolavori di grande qualità sperimentale come La Mosca cieca (o La gatta cieca) la cui datazione solo di recente è stata restituita al 1873, anticipata di sei anni rispetto alla tradizione.
Allo stesso modo questa vicinanza spirituale al mondo povero e disagiato delle campagne, visto come depositario di profonda spiritualità e idealizzato per i suoi valori morali, così come il rifiuto di aderire alla Massoneria con le sue posizioni anticlericali, potrebbero essere, secondo i curatori, i veri motivi della resistenza della Biennale nei confronti della sua opera.
La pappa al fogo, che Bordignon considerava il suo capolavoro, venne “barbaramente respinto” – come egli annotò - dal Comitato ordinatore della prima Biennale di Venezia del 1895, quella stessa che “celebrava i fasti della pittura mondana” ponendo al centro dell’attenzione un quadro “scandaloso” come quello di Giacomo Grosso che ritraeva cinque donne nude all’interno di una Chiesa di fronte alla bara di un libertino (“Il Supremo Convegno”), esposto nonostante l’anticipata condanna del Patriarca futuro Papa Pio X.
“La rivalutazione di Bordignon era attesa da molto tempo, dai suoi concittadini e dal mondo accademico” spiegano i sindaci del Comune di Castelfranco Veneto Stefano Marcon e di San Zenone degli Ezzelini Fabio Marin. “Abbiamo voluto realizzare un evento di alto valore scientifico, ma anche fortemente radicato nel territorio, dando vita ad una positiva collaborazione tra due amministrazioni e soprattutto riuscendo a coinvolgere e a mettere in rete i principali comuni che nella pedemontana conservano memoria e testimonianza dell’opera di Bordignon: un patrimonio che siamo convinti vada assolutamente valorizzato, così come i paesaggi di queste nostre terre, riproposti e immortalati nelle opere di un artista che, ci auguriamo, anche i giovani potranno ora adeguatamente conoscere e apprezzare”.
La mostra celebrativa prende dunque le mosse a Castelfranco, con un’evocativa introduzione dedicata all’universo femminile del pittore e con le prime due sezioni tematiche “La formazione artistica e il pensionamento romano” e “La pittura del vero”, che propongono alcuni dei suoi più noti capolavori. Qui anche una notevole selezione di suoi disegni e studi e – curiosità - il taccuino di appunti visivi del suo viaggio del 1878 a Parigi per l’Esposizione Universale, ove Bordignon vinse una medaglia per l’opera Ragazze che cantano nella valle.
Quindi l’esposizione prosegue a San Zenone, completando la fase pittorica del realismo legato al mondo campestre e soffermandosi su “Il ritratto” e “La svolta simbolista”.
Ci saranno opere esposte per la prima volta in quest’occasione, i dipinti dei familiari gelosamente conservati nella sua abitazione e quei quadri - Inverno, Lieto Ritorno ma anche il bellissimo bozzetto di Matelda - con cui Noè Bordignon, pur legatissimo alla tradizione, si mostra capace di stare al passo con i tempi, di saper rileggere e interpretare le nuove istanze senza venir meno alla sua visione dell’arte: paesaggi dell’anima, atmosfere diluite, veloci tocchi e frantumazione del colore, con attenzione alla resa luministica, per narrare in modo nuovo l’avventura del quotidiano, la fatica delle povere genti.
Infine una sezione collaterale alla mostra sarà dedicata allo stretto rapporto professionale e di amicizia tra Noè Bordignon, i Padri Armeni Mechitaristi e la Congregazione di San Lazzaro degli Armeni, nella cui Abbazia si conservano ancora importanti opere del pittore.
A San Zenone degli Ezzelini un possedimento della Congregazione dal 1896, Villa Albrizzi, facilitò la vicinanza e la relazione umana con l’artista anche negli ultimi anni della sua vita.
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Le amate campagne di San Zenone, nelle quali il pittore si ritira sempre più spesso, offrono a Bordignon un’altra ricorrente ambientazione, sia per gli interni di povere cucine come La Pappa calda (1888), La Buona madre (1890) o La pappa al fogo (1895) - che richiamano i quadri del lombardo Induno o dei veneziani Luigi Nono e Alessandro Milesi di cui è in mostra “Il racconto della nonna” del 1897 - sia nei momenti di partecipazione affettiva ai drammi della gente come nell’opera monumentale Per l’America (Emigranti) del 1887 con cui prosegue il percorso a San Zenone degli Ezzelini - o nei paesaggi animati da fanciulle, sorta di ninfe campestri. Scorrono davanti agli occhi dei visitatori, tra gli altri: il Moscone, bellissima tela di proprietà della Fondazione Musei Civci di Venezia del 1884, ma anche Pastorella, Ragazza in lettura, Sola tra i campi tutte del 1900.
Ricchissima è la sezione dedicata alla ritrattistica. Nella barchessa di Villa Marini Rubelli vediamo circa 20 ritratti che mostrano l’abilità di Bordignon alla luce degli insegnamenti ricevuti in Accademia e dell’attenzione al vero, ma anche dei continui aggiornamenti di tecnica e repertorio che trae dai viaggi e dalle partecipazioni ad esposizioni nazionali e internazionali (Parigi, Bruxelles, Monaco, Vienna, Berlino, Praga, ecc.)
Tante sono le sorprese. Bordignon innanzitutto è ritrattista della sua gente: giovani veneziane, ragazze di campagna e umili lavoratori di San Zenone colti in atteggiamenti quotidiani. Poi tra i soggetti preferiti ci sono i suoi familiari, che in più occasioni si erano prestati per dare le fattezze a personaggi delle sue opere: dal figlio Mariano Edoardo, raffigurato nel giovane mangiatore nella Pappa al fogo, alla figlia Maria ritratta in numerosissimi affreschi. In mostra potremo vedere l’intera famiglia dell’artista, compresa la moglie Maria Zanchi e il primogenito Lazzaro detto Rino: ritratti che Noè custodiva gelosamente nella sua casa a San Zenone quali affetti più cari.
Tra i personaggi di spicco, da segnalare alcuni dipinti esposti per la prima volta in questa occasione, come il ritratto del poeta Vittorio Salmini e quello di Papa Pio X, colto non in veste ufficiale di capo della Chiesa ma in mozzetta e talare bianco, in piedi, in fraterno dialogo con l’osservatore.
Così come intimo è il Ritratto di padre Ghevont Leonzio Alishan, l’esito più alto raggiunto da Bordignon nella ritrattistica. Bordignon ebbe un prolungato soggiorno sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia e un forte rapporto di stima ed amicizia con la Congregazione, per la quale realizzò diverse opere, che ancora si conservano nell’Abbazia, tra ritratti, cicli di affreschi e la pala d’altare raffigurante San Gregorio benedice il popolo armeno.
Così Padre Alishan, tra i personaggi più famosi della congregazione mechitarista - teologo, storico e geografo che contribuì in maniera determinante alla rinascita culturale dell’Armenia - è ritratto in quest’opera, tutt’ora conservata nel monastero, mentre è al lavoro, concentrato, nel suo studio.
Gli ultimi due decenni del Novecento sono tuttavia anche quelli dell’apertura al simbolismo. Con la Triennale di Brera del 1981 anche in Italia si dà voce e ci si confronta sulle istanze nate al di fuori delle accademie e sulle nuove tendenze a livello internazionale, con l’allontanamento dal “vero” e il paesaggio che diviene riflesso degli stati dell’animo, in un processo di ricerca interiore. Bordignon segue il rinnovamento e presenta al pubblico milanese un dipinto, qui proposto nella versione a bozzetto, che, all’interno della sua più tradizionalista produzione pittorica, si distingue per l’assoluta modernità della proposta.
Matelda, figura letteraria, guida di Dante nel XXVIII canto del Purgatorio, è riletta dal pittore veneto in chiave simbolista con chiari rimandi alla pittura inglese contemporanea dei preraffaelliti: la donna, dai lunghi capelli, circondata da rami e fiori simbolo di rinascita, avvolta da una bianca veste svolazzante, domina la tela.
Dante e Virgilio appaiono infatti solo accennati sullo sfondo dell’opera finita, per scomparire del tutto nella versione che vediamo in mostra.
Una Matelda quella di Bordignon che ben si inserisce dunque in quella fortunata serie di dipinti aventi per soggetto donne dalle sembianze angeliche dai dichiarati accenti simbolisti, tra cui spicca la tela di Domenico Morelli esposta per l’occasione “L’amore degli angeli” (1892).
Il confronto con il bellissimo dipinto di Beppe Ciardi “Terra in fiore” (1897), proveniente dal Museo Civico Casa Cavazzini di Udine, evidenzia quelle sperimentazioni stilistiche che anche Bordignon affronterà: dalla scelta della gamma cromatica e della resa della pennellata all’adesione a nuovi modelli iconografici. Atmosfere più diluite, una resa della natura con contorni più sfumati e veloci tocchi di colore, un accenno alle tendenze divisioniste li ammiriamo in Lieto ritorno che andrà all’Esposizioni Riunite di Milano nel 1894 e tre anni dopo alla Terza Triennale, ma anche in Inverno, singolare per l’idea mistica e il senso di non finito provocati dalla neve in cui è immersa la fanciulla.
Un timido e pacato confronto con il nuovo che non porterà tuttavia Noè Bordignon a rinnegare i suoi valori o ad abbandonare i temi più cari. La difesa degli umili, l’amore per la terra, la fede cristiana, la vita rurale e San Zenone saranno sempre al centro della sua attenzione d’artista e di uomo. L'organizzazione generale è di Villaggio Globale International.