Il primo è Camilla, la Cederna e le altre e appartiene alla collana Amletica leggera, una collana avviata negli anni Sessanta da Umberto Eco, che iniziò a chiedersi “Ridere o non ridere? Questo è il dilemma.”. Oggi, che quella modernità ha cessato di promettere e far sperare, il dilemma se ridere o non ridere è ancora più stringente, così dal 2019 abbiamo deciso di tornare in libreria con una nuova serie di proposte di scritture brillanti e buffonerie di intelligenza, riproponendo capolavori del passato e cercando nuove perle del presente! Ovviamente abbiamo affidato il lavoro a Stefano Bartezzaghi, curatore, creatore e amante dei più svariati calembour.
Camilla, la Cederna e le altre
Camilla Cederna
Le donne di Camilla Cederna sono tante che bastano, da sole, a raccontare un’epoca. Quella in cui solo le giornaliste raccontano la rivoluzione più radicale: quella delle donne, appunto.
La delusa, la snob, l’eterna bambina, l’ex bellissima. Ma anche Maria Callas, Anna Magnani, Ava Gardner. La fioraia della Scala e la regina Elisabetta; le pareti nere dell’inventata (ma quasi vera) contessa di Belminy e la vestaglietta rosa di Licia Pinelli la notte in cui rimase vedova. Le donne di Camilla Cederna sono tante che bastano da sole a raccontare un’epoca. E in questa raccolta di articoli pubblicati tra il 1939 e il 1991 emerge anche il ritratto di una cronista al lavoro, che svela trucchi del mestiere ancora attuali: quasi un manuale di scrittura di costume. Sono gli anni in cui nelle redazioni ci sono solo bagni maschili; e in cui i colleghi scrivono di lei che è una “merlettaia”, una “zitella”, e che difende gli anarchici perché “perlomeno odorano d’uomo”. Ma sono anche gli anni in cui solo le giornaliste – come la Cederna così la Fallaci, la Mulassano, la Aspesi, tutte con l’articolo davanti al cognome come una tassa o la cifra di una carboneria – si accorgono della rivoluzione più radicale tra quelle in atto: quella, appunto, delle donne. E nel racconto degli amori, delle frustrazioni, dei vezzi e delle nevrosi delle signore che diventano “moderne” si vedono i germogli dei nostri vezzi, delle nostre frustrazioni, delle nostre nevrosi. E naturalmente dei nostri amori.
CURATO DA IRENE SOAVE
Vive e lavora a Milano. È giornalista al Corriere della Sera, dove si occupa di esteri e attualità. Colleziona libri di galateo e riviste femminili, a cui ha dedicato, nel lontano 2005, anche una tesi di laurea. Per Bompiani ha pubblicato Galateo per ragazze da marito (2019).
Il secondo è Mettere al mondo il mondo e appartiene alla collana Campo aperto, anch’essa diretta da Stefano Bartezzaghi, dedicata agli studi di semiotica.
Mettere al mondo il mondo
TUTTO QUANTO FACCIAMO PER ESSERE DETTI CREATIVI E CHI CE LO FA FARE
Stefano Bartezzaghi
Sopra, l’alto cielo da cui le Muse offrono ispirazioni divine alle privilegiate aspirazioni degli artisti e dei geni. Sotto, il livello terreno a cui la legge di gravità tiene ancorati noialtri, gente della strada. E in mezzo?
A un certo punto del secolo scorso si è sentita risuonare una parola rotonda ed espressiva: “creatività”. I discorsi sulla creatività si sono presto infittiti e allargati a ogni ambito dell’attività umana: la creatività è dei designer e dei cantautori, degli stilisti e dei programmatori di computer, dei pubblicitari e dei bricoleur, dei bambini e dei tecnologi. Che cosa esattamente esprima una parola tanto espressiva è difficile, anzi, impossibile da precisare. Intanto questi discorsi hanno però finito per edificare una sorta di piramide che dalla terra punta verso il cielo. La creatività eleva: come l’artista con la sua opera sembra voler emulare il Creatore, così chiunque può sperare di parere un artista, grazie alla propria creatività.
STEFANO BARTEZZAGHI
È docente di Semiotica della creatività all’Università Iulm; collabora con la Repubblica. Ha pubblicato saggi, raccolte di giochi linguistici, enigmistici e letterari e ha scritto la prima storia italiana del cruciverba, L’orizzonte verticale (2007). Ha curato e commentato la nuova edizione degli Esercizi di stile di Raymond Queneau, nella classica traduzione di Umberto Eco (2001). Per Bompiani ha pubblicato Parole in gioco (2017) e Banalità (2019).