Con la Milano Design Week ormai alle porte è arrivato il momento di parlare di uno degli argomenti più cari al mondo del design: le sedie. Parte della nostra vita quotidiana, sedie e divani, ma più generalmente le sedute, sono da sempre uno degli oggetti di culto del design industriale italiano, capace di creare dei veri e propri capolavori diventati parte integrante delle nostre case. Dalla leggendaria Superleggera di Gio Ponti, fino ai modelli più elaborati e concettuali che Ettore Sottssass firmò nei tardi anni ’80, è giunta l'ora di avventurarsi nel mondo del design in un viaggio che ci accompagnerà da sabato 4 a venerdì 10 settembre. Tra i nostri approfondimenti e la mappa con tutti gli eventi della Design Week, continuate a seguirci per rimanere sempre aggiornati.
Intanto, per esplorare meglio questo immenso mondo, ma soprattutto per fare bella figura con gli amici, ecco di seguito una lista alcune sedute che hanno fatto la storia del design italiano.
Gio Ponti – Superleggera (1957))
La Superleggera è forse la seduta più semplice e più leggendaria di Gio Ponti, disegnata nel ’55 e prodotta da Cassina due anni dopo, nel ’57. L’idea di Ponti fu quella di dare nuova vita alla classica sedia impagliata detta Chivarina – un grande classico dell’artigianato popolare italiano. La sedia era “leggera” non solo sul piano fisico ma anche su quello dei costi di produzione, una specie di simbolo del rinnovato spirito italiano sull’orlo del boom economico post-bellico. La Superleggera è un capolavoro di incastri e materiali come il frassino e la canna indiana che introdussero un nuovo linguaggio per il design italiano, tradizionale e futuristico insieme, ma pratico prima di tutto. Fu anche una delle prime sedute a diventare protagonista di campagne marketing innovative, basate su performance che vedevano la sedia gettata dal quarto piano rimbalzare anziché rompersi cadendo o con foto in cui bambini o donne la sollevavano con un solo dito.
Achille & Pier Giacomo Castiglioni – Sgabello Mezzadro (1957)
Apparso per la prima volta nel ’54 alla Triennale di Milano, lo sgabello Mezzadro dei fratelli Castiglioni richiamava da un lato l’antichissimo retaggio agricolo italiano, dall’altro l’ironia compositiva costituita vagamente dadaista dall’unire fra loro, decontestualizzandoli, elementi diversi per creare qualcosa di nuovo. In questo caso si trattò del sedile ergonomico di un trattore, di una balestra d’acciaio e un piolo di legno. Nonostante il suo aspetto futuristico, l’idea alla base della sedia era ancora una volta quella di un assemblaggio semplice e pratico e di una facile produzione su scala industriale.
Gae Aulenti – Poltrona Sgarsul (1962)
La poltrona Sgarsul di Gae Aulenti, realizzata per Poltronova, non è solo una rielaborazione della classica sedia a dondolo di Thonet creata nel 1862, ma segna anche un importante periodo di passaggio del design italiano che passò da un’estetica angolosa e geometrica a una concezione più morbida e sinuosa che, in rottura con il design del passato, prese il nome di Neoliberty. Se il design industriale italiano degli anni ’50 era razionale, pratico e geometrico, e dunque in rottura con il decorativismo del passato, la proposta di Aulenti fu una mediazione fra lo stucchevole gusto ottocentesco e le nuove esigenze di funzionalità e comfort. Il processo di design, inoltre, non si limitò alla sola struttura lignea, ma coinvolse anche il cuscino della poltrona, che venne ridisegnato più volte per far sì che includesse il minor numero di impunture possibile.
Joe Colombo – Tube Chair (1969)
Alla fine degli anni ’60 una nuova società stava emergendo in Italia. Una società che era ormai del tutto separata dai valori delle generazioni precedenti e che voleva dunque inventare nuove regole, nuovi modi di vivere – un’istanza che sul piano del design si trasformava nella ricerca di forme di arredamento del tutto nuove. Combinando diversi cilindri di acciaio, poliuretano e PVC, Joe Colombo creò la Tube Chair, una chaise-longue modulare, flessibile che poteva essere ricombinata a piacimento. Le sue forme quasi fantascientifiche erano espressione di un’epoca in cui sembrava di poter toccare il futuro con mano, mentre la sua modularità e modernità parlavano di nuove esigenze pratiche e di living, e soprattutto di una clientela che voleva rompere con il passato.
Gaetano Pesce – Serie UP (1969)
La serie UP di Gaetano Pesce, e specialmente i due modelli “fratelli” UP5 e UP6 sono diventati negli anni uno dei simboli più celebri del design industriale italiano. La corrente artistica nella quale sono nati si chiama “design radicale” e rappresenta un tentativo di rispondere al razionalismo del passato, percepito come troppo arido, tramite l’espressività e la sperimentazione. La serie completa include sette diverse sedute, ciascuna costruita in poliuretano espanso, e ciascuna ispirata all’anatomia e alle forme naturali. Le forme della UP5, fra l’altro, ricordano così da vicino quelle dell’anatomia femminile che sono diventate il modello per l’installazione Maestà Sofferente presentata in Piazza Duomo a Milano per la Design Week 2019 – con un certo rammarico di Pesce stesso che ha sostenuto che gli artisti avevano travisato il senso della sua opera.
Piero Gatti, Cesare Paolini e Franco Teodoro – Sacco (1969)
La poltrona Sacco prodotta da Zanotta rappresenta un altro importante capitolo nella storia delle sedute di design italiano: da un lato si rifà al metodo di Gio Ponti, ossia alla riflessione sulla tradizione contadina del materasso di foglie, ossia di un sacco riempito di foglie e materiali neutri e usato come appoggio; dall’altro il processo di design ha guardato al presente, ai nuovi stili di vita più rilassati che prendevano piede, al desiderio di superamento del passato tramite un’innovazione senza compromessi.
Studio 65 – Bocca Sofà (1970)
Il divano Bocca di Studio 65 è forse uno dei pezzi d’arredo più amati dal mondo della moda. Fotografato da Richard Avedon e David Chapelle, utilizzato in tour da Beyoncé, apparso su Vogue e Harper’s Bazaar, il divano creato dal torinese Studio 65 e prodotto da Gufram è un’icona assoluta del design italiano. L’ispirazione originale è altissima: il ritratto surrealista di Mae West dipinto da Salvador Dalì nel 1935, che vede il volto dell’attrice trasformarsi nell’interno di una casa e le sue labbra diventare un divanetto. Inizialmente creato per il salone di bellezza Counturella di Marilyn Garosci, il cui nome venne inizialmente utilizzato per il divano.
Mario Bellini – Le Bambole (1972)
La serie Le Bambole di Mario Bellini parte dall’idea di creare divani e poltrone del tutto morbidi e sicuri, quasi da poter abbracciare – esattamente come si farebbe con una bambola. A differenza di tutti gli altri divani, costruiti con telai e strutture metalliche e poi rivestiti in tessuto, Le Bambole è costruito in tessuto, composto apparentemente di cuscini anzi, costituito da un solo grande cuscino a forma di divano. Per promuoverlo al Salone del Mobile venne chiamato Oliviero Toscani, che lo immortalò insieme a Donna Jordan in topless scandalizzando il pubblico del Salone del Mobile.
Vico Magistretti – Divano Maralunga (1973)
Il divano Maralunga di Magistretti, a differenza di tutte le altre sedute elencate in questa lista, è nato con in mente l’idea di casa e di famiglia, di creare cioè una seduta che risultasse accogliente per diverse persone che, potendo regolare lo schienale alzandolo e abbassandolo, avrebbero potuto usarlo per sedersi o riposarsi, indipendentemente le une dalle altre ma comunque sedute vicine. Il movimento è reso possibile dall’uso di una catena simile a quella delle biciclette che dà al divano insieme struttura e flessibilità – ma secondo la leggenda l’intuizione per lo schienale regolabile venne a Magistretti durante la prova di un prototipo, quando Cesare Cassina, infastidito dallo schienale, gli sferrò un pugno, distorcendolo.
Ettore Sottsass – Sedia “Miss, Don’t You Like Caviar?” (1987)
Se la grandissima parte delle sedute più celebri del design italiano nasce con in mente la produzione industriale di massa, questa sedia di Ettore Sottsass parte dal lato opposto: lo stesso Met Museum nel descrivere la seduta nella propria didascalia esordisce scrivendo che «l'onestà con cui Sottsass progettò e disegnava questo lavoro a una clientela di lusso poteva essere vista come antitetica all'etica democratica del modernismo basata sulla produzione di massal». A differenza delle opere prodotte nella stagione del Memphis Group, questa sedia non possiede colorazioni squillanti, ma conserva quell’attenzione per le forme geometriche elementari che ha distinto da sempre il lavoro di Sottsass.