Il cantautore Ermal Meta si racconta nella nuova puntata di One More Time (OnePodcast), il podcast di Luca Casadei, disponibile da oggi, venerdì 17 gennaio, su OnePodcast e su tutte le principali piattaforme di streaming audio.
Un’intervista a tutto tondo in cui Ermal Meta ripercorre insieme a Luca Casadei le fasi più importanti della sua vita e della sua carriera lavorativa. Partendo dalla sua infanzia trascorsa in Albania, all’epoca sotto un regime dittatoriale, il cantautore rivive i momenti più intensi e drammatici della sua giovinezza, come il difficile rapporto con un padre assente e a tratti violento e la fuga in Italia insieme alla mamma e ai fratelli. Si sofferma poi sulla musica, ricordando i primi passi mossi in questo mondo, tra delusioni e difficoltà, e i successi più importanti della sua carriera da cantante, fino alla recente nascita di sua figlia Fortuna Marie.
Sulla situazione in Albania quando era piccolo: «Nasco a Fier, una città che si trova in Albania (…) Naturalmente si trattava di una società fortemente condizionata (…) Era un reato guardare la televisione italiana. C’è il caso di un cantante che si fece vent’anni di galera perché cantò: “mamma sono tanto felice, perché ritorno da te”. Questo coincide con il fatto che nostro padre se ne va, lascia la famiglia. Era una cosa molto pericolosa: il maggior rischio era il rapimento di bambini e donne. Ne vedevamo tanti di casi. Questo porta mia madre a prendere questa decisione: “ok, bisogna andare via”».
Sulla partenza di sua mamma dall’Albania: «Succede che un giorno mia madre viene approcciata da un uomo che le dice: “ti devo parlare, ti faranno qualcosa di brutto, devi andare via”. Non era difficile credere a questa cosa, lo vedevamo spesso. Lui trova un modo per aiutarla, trova un passaporto tedesco e mia madre se ne va. Si imbarca tranquillamente al porto di Valona, arriva a Brindisi, lascia lì quel passaporto e un giovane ufficiale va da lei e le dice: “questo è falso lo sa vero? Non posso farla passare, deve tornare indietro”. Lei tira fuori una nostra fotografia e dice: “se lei mi fa tornare indietro, questi tre bambini moriranno insieme a me. Siamo condannati a morte”. Poi non so cosa è successo, lui ha preso un timbro, lo ha messo sul passaporto e le ha detto: “vai ma evita le strade, perché le controllano”. È un reato, spero sia in prescrizione. Però ha salvato quattro vite».
Su quando ha raggiunto sua mamma: «Attraverso questi documenti è tornata e si è portata via mia sorella, che era la più piccola. Dopo è toccato a me, il 16 giugno 1994 e poi ad agosto è toccato a mio fratello. Non dimenticherò mai quella notte lì, perché il traghetto arrivò tardi, alle due di notte. Io e mio fratello dormivamo nello stesso letto da piccoli. Quando arrivò quella notte, dormimmo insieme e lui mi mise il dito sul fianco, mi disse: “soltanto questa volta, poi non lo faccio più”. Aveva bisogno di toccarmi. È stata l’ultima volta che abbiamo dormito insieme».
Sulla grande delusione provata all’inizio della sua carriera: «Io volevo fortemente parlare con questo discografico e finalmente dopo mesi riesco a ottenere un suo contatto telefonico. Mi dice: “ah sì, tu sei Ermal, ho ascoltato il tuo disco (…) forse è meglio che lavori: non hai un gran talento”. Io rimango malissimo di questa risposta perché lo stimavo tanto e gli ho creduto. Ho chiuso la telefonata svilito perché ho pensato: “ha ragione lui, lui lo sa. Chi sono io per dirgli che non è vero”. Ho passato due mesi di depressione totale».